Premesso che:
il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) interviene, in adesione al programma "Next generation EU", sugli obiettivi climatici e ambientali e sulle politiche sanitarie, sociali, tecnologiche e del lavoro nella prospettiva della "transizione ecologica" proposta dal Governo e specificata come "rivoluzione verde". Il PNRR intende continuare il processo di integrazione del sistema energetico nazionale in quello dell'Unione europea, che ha come obiettivo la riduzione del 55 per cento al 2030 delle emissioni dei gas serra (GHG) quale approvato dal Consiglio d'Europa;
la "transizione ecologica" del PNRR richiede una nuova struttura delle imprese e del lavoro per incrementare fortemente l'occupazione nelle attività green, in particolare nel settore delle energie rinnovabili sostituendo gli impianti a combustibili fossili;
le acquisizioni epidemiologiche emerse durante la pandemia da COVID-19 correlano, sulla base di centinaia di studi scientifici, la mortalità all'esposizione a particolato sottile (PM 2.5) e richiedono una speciale prevenzione sanitaria, anche al di fuori della situazione epidemica, per limitare al massimo il PM 2.5, che è il diretto prodotto delle combustioni, e specialmente dei combustibili fossili impiegati nei trasporti, nell'industria e per il riscaldamento domestico;
ENI ha mostrato e mostra una pervicace resistenza a voler restare legata alle attività connesse alle fonti energetiche fossili, che inoltre procurano sicuri danni alla salute e all'ambiente, infatti continua a ignorare il monito dell'International Energy Agency (IEA) dei Paesi OCSE, la quale afferma che nel cammino verso la "neutralità climatica" al 2050 "non c'è più spazio per nuovi investimenti su petrolio e metano" (IEA Report, 18 maggio 2021);
con istanza prot. n. 17286, ENI ha chiesto, nel giugno scorso, al Ministero della transizione ecologica l'autorizzazione per il suo progetto Carbon Capture & Storage (CCS), un programma sperimentale, basato sull'utilizzo del metano, in particolare per la produzione di idrogeno (idrogeno "blu"), di stoccaggio geologico dell'anidride carbonica, prodotta dal metano, nella concessione di coltivazione "A.C 26.EA" (Porto Corsini Mare), della quale è unica titolare, nel mare Adriatico al largo di Ravenna; ciò, nonostante l'Assemblea regionale dell'Emilia-Romagna si sia pronunciata il 30 giugno 2021 contro il finanziamento del progetto CCS dell'ENI a valere su fondi dell'Unione europea (UE) per la ricerca;
l'impegno di ENI nelle fonti rinnovabili di nuovi 15 GW al 2030, se confrontato con quello delle sue dirette concorrenti alla stessa data (Total nuovi 100 GW, BP nuovi 50 GW) risulta così umiliante da spingere l'Ente a concludere un'operazione meramente finanziaria di acquisizione di 13 impianti eolici onshore nell'Italia meridionale ("Il Sole 24 Ore", 10 luglio 2021), un'operazione di facciata che la mantiene largamente al di sotto delle citate società concorrenti;
considerato che:
l'obiettivo di riduzione delle emissioni GHG da parte dell'ENI è del 25 per cento al 2030, peraltro calcolato rispetto al 2018;
un tribunale olandese ha intimato alla Shell di tagliare del 45 per cento le emissioni di CO2 entro il 2030;
ENI, con la sua attività centrata sui fossili ora e nel futuro, danneggia la salute dei cittadini mettendo inoltre a rischio, con gravi implicazioni economiche e sociali, il conseguimento da parte dell'Italia dell'obiettivo UE del 55 per cento di riduzione dei GHG al 2030, proprio mentre la Germania diventa capofila nella UE con l'obiettivo del 65 per cento di riduzione al 2030;
gravi impatti negativi, oltre che ambientali e sanitari, relativi alle trasformazioni necessarie al mondo del lavoro, possono derivare dalle resistenze di ENI al cambiamento, in particolare dai ritardi causati dal prevalere di interessi e logiche aziendali su quelli del Paese;
i progetti di cattura e stoccaggio CO2 che ENI continua a fare ventilare al largo della fascia litoranea ravennate, non possono che essere considerati lesivi di un progetto che veda la città di Ravenna, come polo di produzione di energia rinnovabile, a zero impatto di emissione;
la politica energetica rappresenta un punto nevralgico, per una realtà come quella ravennate, da troppo legata all'estrazione di idrocarburi. Dallo stanziamento di 68,9 miliardi di euro del "Next Generation UE", per una transizione energetica, basterebbe già da solo lo stanziamento del polo eolico (Progetto Agnes - 70 mln di euro in tre anni) o il progetto di solarizzazione del CER del canale Emiliano-Romagnolo, per seguire la via delle rinnovabili;
l'idrogeno verde, oggi considerato da alcuni come una produzione ecologica, ma ancora troppo cara potrà raggiungere, come accaduto per i costi di produzione di energia solare, i costi di energia a produzione di idrogeno verde mediante elettrolizzatore in grado di competere con tutti i combustibili fossili entro 5 anni;
i numeri della filiera di energia alimentata ad idrogeno verde, parlano di 30 miliardi di giro d'affari contro un'importazione di 40 miliardi di carburanti fossili annuo per il nostro Paese. Si potrebbe non solo raggiungere l'autosufficienza energetica a zero emissioni, ma addirittura esportarla. Con il know how delle eccellenze cittadine in campo estrattivo, la riconversione sarebbe non solo più facile, ma anche all'avanguardia e più idrogeno verde si produrrà più il costo di produzione diminuirà e con esso il costo dell'energia prodotta, con evidenti ricadute sull'ambiente, sulla salute e sull'occupazione;
tutte queste criticità sono state sollevate con lettere inviate al Presidente del Consiglio dei ministri e con appelli presentati da esponenti del mondo della ricerca e dell'associazionismo ambientalista, fino alla stessa diffida inviata all'ENI per danni temuti,
si chiede di sapere:
quali iniziative di competenza i Ministri in indirizzo intendano intraprendere per sollecitare ENI a: desistere dal perseguimento di politiche che arrecano danno alla salute dei cittadini, agli interessi generali del Paese e che, verosimilmente, non permettono di reggere la concorrenza sul mercato di compagnie operanti nello stesso settore, maggiormente pronte al cambiamento; cambiare rapidamente strategie industriali e atteggiamenti nei confronti dei cittadini, impegnandosi nella sostituzione dei combustibili fossili con energie rinnovabili, in particolare con una riduzione delle emissioni di CO2 di almeno il 45 per cento al 2030 e praticare la raccomandazione del regolamento di "Next Generation EU" di realizzare entro il 2025 il 40 per cento degli obiettivi 2030 di generazione elettrica da fonti rinnovabili, adempiendo così al ruolo che le compete in virtù delle risorse tecnologiche e della capillarità delle infrastrutture che possiede e del ruolo di importanza storica nel settore energetico che riveste.
ABATE - Ai Ministri della transizione ecologica e dello sviluppo economico
è di questi giorni la notizia che ci sarà un amento delle bollette di luce e gas pari a circa il 40 per cento (si legga l'articolo "Aumenti luce e gas: da ottobre si rischiano rincari del 40 per cento" su "altroconsumo");
molti lo addebitano all'aumento del costo delle materie prime e allo smaltimento dell'anidride carbonica. Come ha spiegato il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, oltre ai costi di smaltimento dell'anidride carbonica, il resto della componente del prezzo finale dell'energia è dovuto sia all'aumento della domanda, sia alla scarsità di risorse energetiche sul mercato ("Caro energia, Timmermans: Aumento dei prezzi perché mancano materie prime, urgente transizione alle rinnovabili" su "eunews");
nelle scorse settimane c'era stato già un notevole aumento del prezzo dei carburanti e un altro è arrivato in questi giorni ("Il prezzo della benzina sale ancora, i rincari più alti dal 2014" su "rainews");
l'aumento dei prezzi delle bollette di luce e gas non deve essere attribuito alle politiche comunitarie che spingono a una riduzione delle emissioni, come affermato dal Ministro della transizione ecologica. A smentire (seppur senza citarlo direttamente) l'esponente del Governo è stato il vicepresidente della Commissione europea Timmermans, che, parlando in plenaria al Parlamento di Strasburgo, ha affermato che "solo circa un quinto dell'aumento dei prezzi dell'energia può essere attribuito all'aumento dei prezzi della CO2" ("Timmermans smentisce Cingolani: il costo della CO2 ha un impatto limitato sulle bollette" su "europa.today");
considerato inoltre che:
secondo informazioni in possesso dell'interrogante e secondo anche quanto emerso da numerosi fonti di stampa, già nei mesi scorsi, pare che gli aumenti siano dovuti al fatto che con questi soldi saranno finanziate la riconversione delle centrali a carbone esistenti in Italia in centrali a gas e la costruzione di nuovi impianti per produrre nuova energia dal fossile, mentre le politiche energetiche internazionali si stanno orientando sempre più sulle rinnovabili;
a fine 2018 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato un decreto per la revisione di tutte le autorizzazioni integrate ambientali degli impianti per includere la data di chiusura del 2025 ("Se non è zuppa, è pan gasato" su "recommon");
questi piani, infatti, vengono da lontano: a firmare il regolamento, nel 2019, fu il Ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio che decise di puntare sull'energia fossile e sulla costruzione di nuove centrali a gas da finanziare con fondi scaricati sulle bollette di energia elettrica e del gas delle famiglie italiane e sono contenuti nella proposta del piano nazionale integrato per l'energia e l'ambiente reso pubblico l'8 gennaio 2018: essi stabilirono come data in cui l'Italia avrebbe detto addio definitivamente al carbone nel 2025 (Cfr. "L'Italia dice addio al carbone dal 2025. Il caso Sardegna senza il metano" sul "corriere" e "Se non è zuppa, è pan gasato");
il costo stimato per questa transizione a giudizio dell'interrogante poco ecologica sarebbe di circa 20 miliardi di euro da recuperare in 10-15 anni, soldi pubblici che vengono scaricati sulle bollette ("Transizione ecologica, la pagheranno i cittadini?" su "vita.it" e "Città Futura: La riconversione a gas della centrale la paghiamo in bolletta" su "centumcellae");
questi sono gli effetti del "capacity market" e del "clean energy package" che hanno portato ora la nuova tassa nelle tasche degli italiani, come ricordato nella citata pubblicazione "Città Futura: La riconversione a gas della centrale la paghiamo in bolletta", datata 7 novembre 2020. A partire dal 2021-2022 la spesa energetica dell'industria dovrà confrontarsi con l'impatto di nuovi oneri per il finanziamento del progetto "capacity market" ("Capacity Market: un nuovo onere in bolletta" su "energyteam" e "Althesys: Inflazione all'1,7% con i rincari in bolletta" su "repubblica"),
come i Ministri in indirizzo intendano neutralizzare nel lungo periodo quei costi della transizione ecologica che non possono e non devono essere scaricati sulle spalle delle famiglie e di quei ceti sociali che già sono in ginocchio a causa della pandemia da COVID-19;
se possano dare chiarimenti in merito alla riconversione o chiusura delle centrali a carbone esistenti in Italia in centrali a gas e la costruzione di nuovi impianti per produrre nuova energia dal fossile mentre le politiche energetiche internazionali si stanno orientando sempre più sulle rinnovabili, anche alla luce del fatto che il PNRR, per la missione "rivoluzione verde e transizione ecologica", stanzia complessivamente 68,6 miliardi di euro individuando tra gli obiettivi più importanti le energie rinnovabili come l'idrogeno, il teleriscaldamento, il fotovoltaico e, in generale, nuovi obiettivi di riciclo totalmente opposti all'uso di combustibili fossili, come invece previsto dai citati piani firmati nel 2018-2019.
LOREFICE - Al Ministro dello sviluppo economico
la legge 15 maggio 1989, n. 181, disciplina gli aiuti per il rilancio delle attività industriali, la salvaguardia dei livelli occupazionali, il sostegno dei programmi di investimento e lo sviluppo imprenditoriale delle aree colpite da crisi industriale e di settore;
il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, ha previsto l'applicazione del regime di aiuto alle imprese di cui alla suddetta legge n. 181 nelle aree di crisi industriale complessa;
con la deliberazione della Giunta regionale 14 maggio 2015, n. 111, la Regione Siciliana ha presentato istanza di riconoscimento, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 31 gennaio 2013, per il territorio del comune di Gela e per le aree di localizzazione delle aziende dell'indotto quale area di crisi industriale complessa;
tale istanza ha trovato accoglimento con il decreto del Ministro dello sviluppo economico 20 maggio 2015 che riconosce l'area di crisi industriale complessa di Gela, mentre con decreto ministeriale 1° ottobre 2015 lo stesso ha provveduto alla perimetrazione dell'area di crisi industriale, la quale ricomprende il comune di Gela e altri 22 comuni;
il 23 ottobre 2018, il Ministero dello sviluppo economico, l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la Regione Siciliana, il libero consorzio comunale di Caltanissetta, il Comune di Gela e l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.A. hanno firmato un accordo di programma per il rilancio e la riconversione industriale dell'area di crisi industriale complessa di Gela;
le risorse originariamente stanziate per il rilancio dell'area di crisi industriale di Gela sono pari a 25 milioni di euro, di cui 15 milioni a valere sulle risorse del programma operativo nazionale "Imprese e competitività" 2014-2020 FESR e 10 milioni di euro a valere sul piano azione coesione, programma operativo complementare 2014-2020 della Regione Siciliana;
con la circolare direttoriale 6 febbraio 2019, n. 37925, si è aperto il bando rivolto alle aziende per l'accesso agli aiuti per il rilancio dell'area di crisi industriale di Gela. Il bando ha visto la presentazione di sei domande di finanziamento, di cui solo una è andata a buon fine;
con decreto del Ministro dello sviluppo economico 23 aprile 2021 si è provveduto alla rimodulazione delle risorse stanziate per l'area di crisi industriale di Gela, in quanto quelle originariamente previste erano divenute inutilizzabili in quanto si trattava di fondi europei legati alla programmazione 2014-2020;
il 23 ottobre 2021 è scaduto l'accordo di programma e, a quanto risulta all'interrogante, il Ministero è intenzionato a rinnovarlo;
considerato altresì che, in ragione del peggioramento della situazione economica siciliana, dal 2022 la normativa europea per gli aiuti di Stato consentirà all'amministrazione di finanziare una percentuale maggiore degli investimenti che le imprese vorranno fare nel territorio regionale,
se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno arrivare nel più breve tempo possibile al rinnovo dell'accordo di programma per Gela, senza cui non si potranno riattivare tutte le azioni di stimolo per il tessuto imprenditoriale, nonché pianificare campagne informative sulle opportunità offerte dalla legge n. 181 del 1989, propedeutiche alla riapertura del bando per l'area di crisi industriale complessa di Gela più efficace e che riesca realmente ad attrarre le imprese del territorio e non;
quale sia lo stato di avanzamento della procedura di rinnovo dell'accordo di programma.